Dedicato a Davide Susanetti, Professore Letteratura greca all'Università di Padova
"Le Muse"
Note dell'autore
Le divinità delle Muse sono figlie di Zeus e di Mnemosine, la Memoria che, in una concezione
del Tempo come eterno e inesauribile ciclo, è il ricordo del passato ma anche del
futuro, ricordo di ciò che fu e che sempre sarà. La sua presenza, insieme
all’onnipotenza e la sapienza del Dio
olimpico, testimonia che solo nel ricordo del Tutto è possibile la vera
conoscenza.
Le Muse sono le custodi delle segrete e sacre leggi della parola e dei suoi immensi poteri generativi, la parola che è
canto, che crea e ordina il mondo, la
parola che è nel contempo musica, ritmo e danza e che pervade ogni cosa visibile
e invisibile. Esse sono le voci della vibrante
armonia che è respiro pulsante di un cosmo vivente, che abbraccia la Terra, i
pianeti, le stelle e l’universo intero .
Le figlie di Zeus sono le uniche divinità che presiedono a quella iniziazione
che consente ai mortali di accedere
all’Arte e alla Bellezza. Questo passaggio verso una intensità psichica e intellettiva,
al confine dell’umano sentire, avviene
soltanto attraverso i misteri di una dimensione sacra, senza la quale
non è possibile creare nulla che abbia realmente valore. Questa dimensione a cui si accede attraverso le
Muse è la divina mania, che non è follia ma intensa percezione della coscienza
aldilà di se stessi, un invisibile ‘altrove’ dove si realizza una forma
superiore di conoscenza: è solo qui,
grazie alla loro divina intercessione, che il pensiero disvela insondabili profondità
o inaccessibili altezze a cui l’uomo non potrebbe accedere e che, senza di loro, non
potrebbe nemmeno avvicinare. Non è l’abilità tecnica la scaturigine dell’atto
creativo e conoscitivo degli uomini, ma è la presenza della Musa in loro a renderlo
possibile. È il loro entusiasmo (en théos, il dio dentro) che li trasporta in un nuovo orizzonte,
dove i limiti dell’umana comprensione scompaiono a contatto con l’onnipotenza divina,
in una visione in cui si manifesta l’origine e la causa di ogni cosa. Solo qui
è concesso ai mortali di attingere
direttamente alle sorgenti di quel canto
che governa il mondo.
Le nove giovani donne sono delle divinità onnipresenti e pervasive nell’universo e nella vita dell’uomo ma, al tempo stesso, sono anche
presenze mutevoli e complesse, lontane e
misteriose come ogni divinità, la cui immagine è perennemente rinnovata
dallo
sguardo immaginifico di chi è a loro devoto. Esse sono anche ambigue e
indecifrafrabili, come il Dio Delfico che le guida e le accompagna,
perché come ogni divinità possono assumere molte forme diverse e
nascondersi sotto sembianze inammaginabili. La loro onnipotenza divina può portarle ad essere contemporaneamente ciò
che è e ciò che non è, la luce e la notte, il vero e il falso.
Le Muse, forse anche per la loro elusiva inafferrabilità, hanno accompagnato la
storia della cultura occidentale dal mondo greco arcaico al Novecento (le Muse inquetanti, De Chirico), ma ben poco sappiamo di loro. Abitano i boschi solitari e le valli brumose
del monte Elicona, in Beozia e sono di una incantevole bellezza, dotate di una voce
melodiosa e da una straordinaria grazia nel movimento. Ognuna sembra vocata in una particolare arte della
parola e della musica, ma la loro non è
una specializzazione perché sono tutte insieme, con la loro danza e il
loro canto, a custodire l’armonia e il
ritmo che abbraccia ogni cosa e ogni aspetto dell’esistenza. Al suono della lira di Apollo, esse danzano e cantano in un’unica sinfonia,
in cui le voci e i gesti si accordano
perfettamente come nella voce e nel movimento di un unico organismo. È così che sono rappresentate le Muse nell’iconografia del
Rinascimento (Mantegna e Peruzzi), in un danza circolare e armonica che è esattamente speculare a quella dell’immensità delle sfere
celesti, nel loro eterno movimento ed è forse così che dovremmo immaginarle.
Da sempre la più conosciuta e la più invocata è Calliope, “dalla bella voce”,
la maggiore delle sorelle e la più saggia. È
la Musa della poesia epica e spesso rappresentata con stilo e tavolette
di cera. Nella incisione è colta nell’atto
di posare il piede su una piattaforma circolare, dove inizierà la sua danza. È cieca, come i grandi poeti e i veggenti e
armata del solo tirso come una seguace
del Dio. La sua è una breve teofania: i
lunghi rotoli omerici,che avvolgono la sua figura, sembrano creare intorno a lei una specie di vortice di parole
e musica, in grado di sollevarla e forse portarla lontano nel cielo, dove il suo
canto ha origine .
Melpomene è la musa della tragedia
che, per gli antichi Greci, era uno
spettacolo molto amato ma anche rito collettivo, ispirato da una divinità, che si
svolgeva durante un periodo sacro (le feste in onore di Dioniso) e in uno
spazio consacrato (al centro del teatro sorgeva l'altare del dio). Quello che
andava in scena nella tragedia è l’essere
nel mondo per i Greci, il loro modo di
concepire la vita qui sulla terra, una visione del mondo che ruotava intorno al drammatico
rapporto con le divinità eterne e onnipresenti che dominano l’universo ed inevitabilmente
anche il loro destino di effimeri esseri
mortali.
Tutta la comunità affollava il teatro, una folla enorme e variegata accorreva
per rivivere le storie di un patrimonio
culturale condiviso. Questa enorme
partecipazione fa capire quanto profondo era il potere di fascinazione della
Musa del teatro sul popolo greco antico.
Oggi, nel nostro mondo mediatico e globale, un potere così vasto e magnetico
potrebbe essere esercitato solo dalle grandi rock-stars mondiali, almeno nelle stesse dimensioni numeriche. E non a caso, nell’incisione, Melpomene ha una postura
vicina ad una di queste, Freddie Mercury, voce solista dei Queen, come la si
può osservare in una statua a lui dedicata a Montreux. La Musa brandisce nella
mano destra un sistro a ricordare l’origine sacra di questo rito; nella
sinistra la clava (che termina con un microfono) è quella di Eracle, l’eroe tragico di sempre. Le maschere, suo attibuto principale, sono
intregrate nel suo bizzarro costume di scena, mentre i piedi caprini , il copricapo e i grappoli d’uva rimandano alla
etimologia della parola tragedia ('tragos'
in greco significa capro) e a quel Dio in onore del quale le sacre
rappresentazioni avvenivano.
Thalia è la Musa della commedia, un
genere drammaturgico che trae ispirazione dalle vicende della vita di ogni giorno. A volte è rappresentata con l’antico timpano che,
nell’incisione, tiene nella destra a scandire
il ritmo della sua danza serrata e la
maschera teatrale che tiene ben in mostra nella sinistra, simbolo della grottesca
finzione scenica. Ma la misteriosa Musa si cela dietro quelle bianche
maschere, che nascondono il sembiante della Dea o forse la sua stessa assenza. Sono
le maschere della Dea ma anche le nostre, quelle che noi stessi usiamo e accettiamo nella nostra quotidiana commedia, le molteplici maschere dietro
cui celiamo le nostre fragili identità e le nostre più nascoste paure.
Erato è la Musa della lirica amorosa e il suo
nome deriva da Eros, il dio dell’Amore. Nell’incisione
sta attraversando un grande strumento a corda, con in mano un rotolo con incisi dei
versi di Saffo, la poetessa per antonomasia. Il suo passaggio tra le corde
della lira genera note musicali e nello stesso istante parole, in una consonanza sonora solo in apparenza composta da elementi diversi, perché entrambi
intimamente accordati dalle stesse
regole di misura e proporzione, tanto che le une si rispecchiano nelle altre.
Clio, la Musa della storia, sembrerebbe
del tutto assente. Al suo posto la scena
è occupata dalla Storia stessa, sotto le forme di una folle
imbarcazione naufragata in un campo di battaglia, costellato da crateri e ai margini delle mura di
una città. La nave alimentata da un ‘rotore alfanumerico’, simbolo della Tecnoscienza che muove da sempre
la vita degli uomini, è sovrastata
dalla presenza di un potere dispotico, che si fonda sull'intimidazione
della forza e sul peso schiacciante di piramidi gerarchiche, che si fanno beffe di ogni forma di Giustizia. Sul pennone della nave, sotto la fiaccola di un’ambigua Libertà, la Musa più che patronessa
della Storia ne è essa stessa prigioniera, carcerata nei libri che sono il suo
principale attibuto ma anche il luogo dove si suppone che essa viva ed esista. Da lì, dietro delle
sbarre, la Musa osserva il cielo dove campeggia un enorme nodo, con il quale la
Storia manifesta la sua più intima natura: la
Storia che non è altro che un groviglio, un garbuglio, un impenetrabile “gnommero” gaddiano; un'inestricabile ‘sistema di
sistemi’, dove gli infiniti elementi dell’uno
condizionano tutti i molteplici elementi degli altri e ne sono al
tempo stesso condizionati, in una labirintica complessità, che rende umanamente vano ogni forma di reale comprensione e possibile solo una serie di interminabili interpretazioni. Forse soltanto la Dea, che Tutto sa
del passato ma anche del futuro, può capire ciò che agli umani è negato.
Urania
è la Musa dell’astronomia. Il suo nome significa “cielo stellato”, “firmamento
”e spesso è raffigurata con un globo accanto
e un un compasso, per gli stretti legami che intercorrono, per i Greci antichi, tra
astronomia, geometria e matematica. È in questi spazi celesti, nel perfetto e sincrono
movimento delle costellazioni, che la Dea vive e così è rappresentata nell’incisione: un’elegante equilibrista, inguainata in una
tuta spaziale che si muove nel vuoto interstellare tra un pianeta e l’altro e , su uno di questi, segue una corda che collega un astro all’altro.
L’incisione, nel volo in cielo della
Musa, porta in sé un richiamo diretto all'opera grafica di Dürer chiamata Nemesi o Grande Fortuna, dove una donna alata sorvola su una sfera un
paesaggio montano e con una mano
promette la distribuzione delle ricchezze, che tiene nella coppa e con l’altra
tiene a freno gli uomini con le briglie, dominandone l’esistenza.
Polimnia, è la
più giovane delle sorelle e Musa degli inni sacri, ma anche dell’azione scenica complessa che
è musica, poesia e danza insieme , a dar
l’esempio di quanto erano molteplici le sfere
di influenza delle dee. Certo è la
più misteriosa, la più appartata e solitaria, di cui non si conosce alcun vero attributo.
Nella incisione è nelle vesti di una giovane sacerdotessa paludata in un nero mantello e
nella mano tiene un foglio con i testi delle sue creazioni. È colta nello spazio scoperto e colonnato che
precede l’ingresso al tempio, in cui forse i
suoi canti sacri saranno intonati. Il suo
è stato un lungo viaggio che l’ha
portata in una valle isolata, tra vette montane vicino alla sede stessa degli Dei.
Euterpe è la
Musa della Musica e la sua immagine, nell'incisione, è il
risultato di un
assemblaggio arcimboldesco di vari strumenti musicali, anche se la Musa
non sembra intenzionata ad emettere alcun suono. Nella sua figura
composita e bizzarra e nella sua natura solitaria e
contraddittoria, la Dea più che della Musica sembra voler rappresentare
l'esatto opposto, cioè il silenzio: quel silenzio quasi
cosmico che sembra regnare nello scenario che la circonda, in quella straniante desolazione
delle rovine di una civiltà ormai scomparsa e dimenticata.
Tersicore è la
protettrice della danza, un'arte a cui, nella Grecia antica, si riconosceva un
grande valore anche educativo. Nella
incisione, la sua immagine porta in sé il segno della contraddizione, la compresenza di elementi opposti in apparente conflitto tra di loro, dove la
presenza dell’uno escluderebbe l’altro. Solo
nella divinità è possibile questa coesistenza di elementi contrari e
antitetici. Nella sua figura di danzatrice, infatti, il fremito della
ballo e il fluttuare delle vesti alludono alla danza e a questo
movimento si contrappone la fissità inamovibile
della colonna che la sostiene e, nel contempo, blocca ogni movenza della
sua figura con la pesante staticità della pietra.
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